Anche se non si tratta di una Lettera Enciclica, il testo del Radiomessaggio di Pio XII del 1 giugno 1941 è da annoverare, di sicuro, tra i documenti fondamentali della Dottrina Sociale della Chiesa.
Venne scelta la ricorrenza della Pentecoste perché “in un momento, in cui tutte le energie e forze fisiche e intellettuali di una porzione sempre crescente dell'umanità stanno, in misura e con ardore non mai prima conosciuti, tese sotto la ferrea inesorabile legge di guerra: e da altre parlanti antenne volano accenti pregni di esasperazione e di acrimonia, di scissione e di lotta (…) è per Noi gioia e soddisfazione intima, nel far sentire a voi, diletti figli, la voce del Padre comune, il chiamarvi quasi ad una breve e universale adunata cattolica, affinché possiate sperimentalmente provare nel vincolo della pace la dolcezza del cor unum e dell' anima una, che cementava, sotto l'impulso dello Spirito divino, la comunità di Gerusalemme nel dì della Pentecoste. Quanto più le condizioni, originate dalla guerra, rendono in molti casi difficile un contatto diretto e vivo tra il Sommo Pastore e il suo gregge, con tanta maggior gratitudine salutiamo il rapidissimo ponte di unione, che il genio inventivo dell'età nostra lancia in un baleno attraverso l'etere collegando oltre monti, mari e continenti ogni angolo della terra. E ciò che per molti è arma di lotta, si trasforma per Noi in strumento provvidenziale di apostolato operoso e pacifico, che attua e innalza a un significato nuovo la parola della Scrittura.”
Ricordando gli insegnamenti di Leone XIII e di Pio XI in ordine alle questioni sociali, Pio XII ribadisce l’“inoppugnabile competenza della Chiesa, in quel lato di ordine sociale dove si accosta ed entra a toccare il campo morale, il giudicare se le basi di un dato ordinamento sociale siano in accordo con l'ordine immutabile, che Dio creatore e redentore ha manifestato per mezzo del diritto naturale e della rivelazione”. Riprende, poi, gli aspetti importanti della Rerum Novarum e della Quadragesimo Anno, ne evidenzia le conseguenze positive, e le rapporta sia con i difficili avvenimenti di quegli anni sia con le inquietanti prospettive che indicano. Trae, quindi, la conclusione che “se il futuro ha radice nel passato, se l'esperienza degli ultimi anni Ci è maestra per l'avvenire, Noi pensiamo di servirci dell'odierna commemorazione per dare ulteriori principi direttivi morali sopra tre fondamentali valori della vita sociale ed economica (…) Questi tre valori fondamentali, che s'intrecciano, si saldano e si aiutano a vicenda, sono: l'uso dei beni materiali, il lavoro, la famiglia.”
Per quanto riguarda l’Uso dei beni materiali ne chiarisce il principio fondamentale, come pure lo sviluppo che deve avere. Al riguardo, tra l’altro, ricorda che “Ogni uomo, quale vivente dotato di ragione, ha infatti dalla natura il diritto fondamentale di usare dei beni materiali della terra, pur essendo lasciato alla volontà umana e alle forme giuridiche dei popoli di regolarne più particolarmente la pratica attuazione. Tale diritto individuale non può essere in nessun modo soppresso, neppure da altri diritti certi e pacifici sui beni materiali. Senza dubbio l'ordine naturale, derivante da Dio, richiede anche la proprietà privata e il libero reciproco commercio dei beni con scambi e donazioni, come pure la funzione regolatrice del potere pubblico su entrambi questi istituti. (…) Così solo si potrà e si dovrà ottenere che proprietà e uso dei beni materiali portino alla società pace feconda e consistenza vitale, non già costituiscano condizioni precarie, generatrici di lotte e gelosie, e abbandonate in balia dello spietato giuoco della forza e della debolezza.”
Pio XII non manca, poi, di chiarire il corretto concetto di “benessere generale” precisando che “ (…) diletti figli, vi tornerà agevole scorgere che la ricchezza economica di un popolo non consiste propriamente nell'abbondanza dei beni, misurata secondo un computo puro e pretto materiale del loro valore, bensì in ciò che tale abbondanza rappresenti e porga realmente ed efficacemente la base materiale bastevole al debito sviluppo personale dei suoi membri. Se una simile giusta distribuzione dei beni non fosse attuata o venisse procurata solo imperfettamente, non si raggiungerebbe il vero scopo dell'economia nazionale; giacché, per quanto soccorresse una fortunata abbondanza di beni disponibili, il popolo, non chiamato a parteciparne, non sarebbe economicamente ricco, ma povero. Fate invece che tale giusta distribuzione sia effettuata realmente e in maniera durevole, e vedrete un popolo, anche disponendo di minori beni, farsi ed essere economicamente sano.”
Sulle questioni legate al lavoro, muove dall’insegnamento della Rerum Novarum che lo caratterizzava per due precise proprietà: personale e necessario. “(…) E' personale, perché si compie con l'esercizio delle particolari forze dell'uomo: è necessario, perché senza di esso non si può procurare ciò che è indispensabile alla vita, mantenere la quale è un dovere naturale, grave, individuale. Al dovere personale del lavoro imposto dalla natura corrisponde e consegue il diritto naturale di ciascun individuo a fare del lavoro il mezzo per provvedere alla vita propria e dei figli (…) Ma notate che tale dovere e il relativo diritto al lavoro viene imposto e concesso all'individuo in primo appello dalla natura, e non già dalla società, come se l'uomo altro non fosse che un semplice servo o funzionario della comunità. Dal che segue che il dovere e il diritto a organizzare il lavoro del popolo appartengono innanzi tutto agli immediati interessati: datori di lavoro e operai. Che se poi essi non adempiano il loro compito o ciò non possano fare per speciali straordinarie contingenze, allora rientra nell'ufficio dello Stato l'intervento nel campo e nella divisione e nella distribuzione del lavoro, secondo la forma e la misura che richiede il bene comune rettamente inteso.” L’eventuale intervento statale in materia di lavoro deve, però, “salvarne e rispettarne il carattere personale, sia in linea di massima, sia, nei limiti del possibile, per quel che riguarda l'esecuzione.” Deve, pertanto, evitare che vengano introdotte norme che “rendano inattuabile l'esercizio di altri diritti e doveri ugualmente personali: quali sono il diritto al vero culto di Dio; al matrimonio; il diritto dei coniugi, del padre e della madre a condurre la vita coniugale e domestica; il diritto a una ragionevole libertà nella scelta dello stato e nel seguire una vera vocazione; diritto quest'ultimo personale, se altro mai, dello spirito dell'uomo ed eccelso, quando gli si accostino i diritti superiori e imprescindibili di Dio e della Chiesa, come nella scelta e nell'esercizio delle vocazioni sacerdotali e religiose.”
Per quanto, infine, riguarda la famiglia papa Pacelli ricorda che già la Rerum Novarum aveva ribadito che “la natura stessa ha intimamente congiunto la proprietà privata con l'esistenza dell'umana società e con la sua vera civiltà, e in grado eminente con l'esistenza e con lo sviluppo della famiglia. Un tal vincolo appare più che apertamente; non deve forse la proprietà privata assicurare al padre di famiglia la sana libertà, di cui ha bisogno, per poter adempiere i doveri assegnatigli dal Creatore, concernenti il benessere fisico, spirituale e religioso della famiglia? Nella famiglia la nazione trova la radice naturale e feconda della sua grandezza e potenza. Se la proprietà privata ha da condurre al bene della famiglia, tutte le norme pubbliche, anzitutto quelle dello Stato che ne regolano il possesso, devono non solo rendere possibile e conservare tale funzione (…) ma ancora perfezionarla sempre più. Sarebbe infatti innaturale un vantato progresso civile, il quale (…) rendesse vuota di senso la proprietà privata, togliendo praticamente alla famiglia e al suo capo la libertà di perseguire lo scopo da Dio assegnato al perfezionamento della vita familiare.”
Dopo aver invocato il "diritto della famiglia a uno spazio vitale" (al riguardo viene auspicato che la famiglia sia proprietaria della propria abitazione, eventualmente con un terreno o podere) ed una "distribuzione più favorevole degli uomini sulla superficie terrestre" (rispondendo alle problematiche poste dall’emigrazione del tempo), il radiomessaggio della Pentecoste del 1941 richiama alla responsabilità di essere attivi e coscienti del pensiero sociale della Chiesa, esortando che “(…) Non si spenga in mezzo a voi o si faccia fioca la voce insistente dei due pontefici delle encicliche sociali, che altamente addita ai credenti nella rigenerazione soprannaturale dell'umanità il dovere morale di cooperare all'ordinamento della società e, in special modo della vita economica, accendendo all'azione non meno coloro i quali a tale vita partecipano che lo Stato stesso. Non è forse ciò un sacro dovere per ogni cristiano?”.
Precedenti:
Rerum Novarum
Quadragesimo anno
Divini Redemptoris
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